La terapia al plasma funziona? Parola agli esperti

plasma per curare coronavirus

La terapia al plasma funziona contro il Covid-19 e, dopo tante smentite, a confermarlo sono i medici del Policlinico San Matteo di Pavia.

Interessanti, infatti, i riscontri su un campione di 80 pazienti che si sono sottoposti alla cura in via sperimentale e che, oggi sono tutti guariti, così come confermato dal presidente del Policlinico San Matteo Alessandro Venturi.

Terapia al plasma: il primario Venturi spiega come funziona

Ma come funziona la terapia al plasma? E da dove è nata l’idea?

Si tratta di un’intuizione geniale dell’infettivologo pavese, il professor Raffaele Bruno che ha collaborato a stretto contatto con il professor Cesare Perotti, che invece si occupa di immunoematologia.

Il principio, in effetti, è molto antico e si basa sull’immunizzazione passiva attraverso un vaccino o attraverso l’infusione di anticorpi specifici per il virus che si vuole combattere e che in qualche modo facilitano la risposta del sistema immunitario.

Al momento, però, non è chiaro quale sia la fase migliore per dare il via alla terapia.

Negli Usa, per esempio, viene utilizzato il plasma in maniera preventiva, come una sorta di vaccino, invece in Italia i pazienti che hanno partecipato allo studio erano ad una fase di gravità media, prima dunque di entrare in terapia intensiva ma già alla respirazione assistita.

Plasma: meglio gli ex pazienti covid che gli asintomatici scoperti con il sierologico

Fondamentali per rendere possibili queste terapie sono le donazioni di sangue da parte degli ex pazienti covid-19.

Si raccoglie una sacca di 600 ml di plasma, ovvero solo la parte liquida, mentre il resto viene reintrodotto.

Ecco perché diventano importanti i test sierologici grazi ai quali è possibile individuare persone che hanno contratto il virus in forma asintomatica e che godono quindi di ottima salute.

Con una sacca di plasma di un ex positivo, la cui estrazione, del tutto indolore, dura 25-30 minuti, si possono trattare al massimo due pazienti.

C’è da dire che le sacche migliori e più efficaci sembrano quelle dei pazienti che hanno contratto il virus con sintomi e che hanno sviluppato una quantità rilevante di anticorpi.

Ecco perché il donatore perfetto è un ex paziente ospedalizzato, giovane, che ha superato la malattia e che ha un valore di anticorpi alto.

“Quello che possiamo dire – aggiunge Venturi – è che ad oggi noi stiamo lavorando già per stoccare e creare una scorta di plasma per fare fronte ad una eventuale seconda ondata di diffusione del virus, ed avere un’arma a disposizione per fronteggiare l’emergenza. La possibilità di precostituirsi delle scorte in congelatore è un atto di grande responsabilità e di grande generosità da parte di tutti coloro che hanno incontrato la malattia e l’hanno superata. Questa è l’unica arma a disposizione”.

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